Il fenomeno della migrazione di massa dalle sponde meridionali del Mediterraneo alle nostre coste va aumentando di giorno in giorno, imponendosi all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Ai gravi motivi che spingono migliaia di rifugiati a cercare quotidianamente un approdo di salvezza in Europa fa eco la necessità di aiutare in modo concreto ed efficace questi sfortunati fratelli. Durante l’Angelus di domenica 6 settembre Papa Francesco ha lanciato un preciso appello, rivolto soprattutto alle Diocesi e agli Istituti Religiosi:
“Cari fratelli e sorelle, la Misericordia di Dio viene riconosciuta attraverso le nostre opere, come ci ha testimoniato la vita della beata Madre Teresa di Calcutta, di cui ieri abbiamo ricordato l’anniversario della morte.
Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”.
La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura. Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia.
Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma.
Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi.
Il Padre Generale e il nostro Padre Provinciale hanno risposto all’appello di Papa Francesco invitando tutto l’Ordine, e la Provincia Italiana in particolare, a collaborare e aprire le porte e i cuori ai profughi. Riportiamo le due lettere circolari:
Lettera ai fratelli e sorelle dell’Ordine sull’urgenza di assistere concretamente i rifugiati
Cari fratelli e sorelle:
“Siate misericordiosi come il Padre Vostro è misericordioso” (Lc 6,36).
La misericordia, espressione della carità, si trova sicuramente al centro della vita cristiana. Papa Francesco, che ha desiderato convocare un giubileo per tutta la Chiesa sotto il segno della misericordia, ci ricorda che Gesù Cristo è il volto di Dio, Padre misericordioso e, per questo, il mistero della fede cristiana sembra incontrare la propria sintesi in questa parola (cfr. Misericordiae vultus, 1).
I problemi che nascono nella Chiesa e nell’Ordine hanno origine sempre, in ultima analisi, dall’abbandono di una personale e profonda relazione con Dio, dal non conoscerlo: la suprema e quasi unica ragione del mio inevitabile errore – dirà Sant’Agostino – era avere una idea sbagliata di Dio (cfr. Conf. 5,10,19). Per questa ragione non dobbiamo dimenticare che Dio è amore e che Cristo è il volto di questo amore con il quale Dio ci ama, come ben ci ha ricordato anche il Papa Benedetto XVI: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto. Abbiamo creduto all’amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, 1). Probabilmente una delle nostre grandi sfide come cristiani oggi è controllare “bene” la veridicità e la qualità del nostro amore e, forse, sarà necessario ritornare alla fonte e alla forza del primo amore (cf. Ap 2,4).
L’amore si manifesta con le scelte e nella concretezza delle azioni. La fedeltà a Gesù, come ho ben espresso nel mio primo discorso da Priore Generale (cfr. Acta Ordinis 66 (2013) 191-196), ci porta ad impostare, orientare la nostra vita partendo dal “fondamento-misericordia” e quindi a non chiuderci in noi stessi, nelle nostre certezze o nelle nostre comodità. Dobbiamo invece immergerci dove vi è sofferenza e stare vicino ai feriti ai sofferenti come il Buon Samaritano. Sono molti i nostri ambiti di lavoro e le nostre attività; però se, personalmente come consacrati e come Ordine, non siamo ben strutturati verso la misericordia tutto quello che facciamo sarà senza dubbio irrilevante e creerà falsità. Di conseguenza diventerà poco credibile non solo il nostro apostolato, ma anche tutta la nostra vita religiosa e la nostra testimonianza cristiana, che abbiamo promesso col Battesimo.
Stiamo assistendo al più grande esodo di immigrati dopo la seconda guerra mondiale; tutto fa pensare che sta diventando una catastrofe umanitaria. Un dramma umano dalle enormi proporzioni che non può lasciarci indifferenti. Anche se si tratta principalmente di Europa, tutti dobbiamo rispondere a questo grido di sofferenza a questo bisogno di carità. Dobbiamo ricordare anche qui che gli oppressi dalla miseria sono stati sempre oggetto di attenzione, opzione preferita e amore speciale da parte della Chiesa (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2448). Certamente devo ricordare che la nostra tradizione di Ordine “mendicante” è sorta per stare all’avanguardia nella Chiesa, al servizio della gente. Questo ci spinge ancora di più ad ascoltare il grido di aiuto, a lasciarci interpellare da esso, a dare una concreta, effettiva e generosa risposta. Il nostro carisma agostiniano non si sviluppa nella fuga mundi, ma nell’inserimento dentro il mondo, ambito dell’amore di Dio. Il bussare di Cristo bisognoso che chiede ospitalità (cfr. Mt 25,31-46), è diretto anche a ciascun fratello dell’Ordine, ad ogni sorella di vita contemplativa, a ciascun laico che vive la nostra spiritualità, in particolare ai membri delle nostre fraternità. A tutti e ciascuno di noi. Ogni comunità agostiniana dovrebbe, deve distinguersi per essere luogo dove si può constatare una libera risposta, la più audace, la più sollecita, la più intensa e creativa di fronte all’esigenza della misericordia e della com-passione: “Siate misericordiosi come il Padre Vostro è misericordioso”
a. La conversione del cuore.
Toglierò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26).
Il primo passo sta nel realizzare una effettiva trasformazione interiore che mi permetta di “sentire/ascoltare” il bisognoso, il povero, l’escluso. La società del ‘confort’ può correre il pericolo non solo di una crescente secolarizzazione del nostro stile di vita, ma anche un incremento dell’egoismo, la paura di perdere le mie sicurezze, quando avessi già perso la sicurezza in Cristo. Di conseguenza mi difendo da ogni rischio, compreso il rischio, l’avventura, la chiamata della carità. In nessun modo si devono accettare commenti o dialoghi xenofobi / razzisti, e nemmeno che si frivolizzi su una tragedia di migliaia di persone. Soprattutto di chi – fuggendo miseria e guerre e persecuzioni e violenze – bussano alle porte di altri paesi, specialmente in Europa, cercando un’opportunità, una possibilità, una prospettiva migliore: cercano speranza.
Tutti questi immigrati / rifugiati, da qualunque parte arrivino, sono la famiglia di Gesù per la quale non si trova un alloggio (cfr. Lc 2,7). Ci chiedono una risposta. Risposta che dobbiamo dare come istituzione; costruendola come comunità, come individui: non bisogna lasciare che questa domanda resti bloccata per paura, per egoismo o perbenismo politico. Non rispondere, significherebbe essere complici, eludere una responsabilità: contribuire al male. Quando si sottovalutano queste tragedie o quando si commenta che le responsabilità sono dei governi, non si sta forse mostrando la tristezza del proprio cuore e, in definitiva, la propria falsità nel vivere la vocazione?
Che il Signore ci conceda un cuore compassionevole, in modo che si possa vedere il “bisognoso” come una persona e non come un oggetto, una persona non una statistica: una realtà non uno spettacolo. E’ certo: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes, 1).
b. Alcune considerazioni
“Venite voi, benedetti del Padre Mio … perché sono stato forestiero e mi avete ospitato (Mt 25,34.35).
Papa Francesco ci ha presentato un invito molto concreto: “Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di rifugiati che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere ‘prossimi’, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: ‘Coraggio, pazienza!…’. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura. Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di rifugiati. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma” (Discorso all’Angelus, 6 settembre 2015).
In questo senso mi rivolgo anche io a tutti i fratelli dell’Ordine, specialmente a quelli residenti in Europa:
* Chiedo che il Superiore Maggiore di ogni circoscrizione Europea, insieme al suo Consiglio, studi con carattere prioritario il modo di rispondere a questo richiamo del Papa.
* Il Superiore Maggiore, in dialogo con i Priori Locali, con i Parroci e con i responsabili del Segretariato Giustizia e Pace, concreteranno il modo con cui ogni comunità o parrocchia possa accogliere e occuparsi di almeno una famiglia di rifugiati. Cioè: procurare alloggio (in locali propri o in altro modo) e occuparsi delle necessità materiali, sociali e spirituali: suppellettili, alimenti, educazione, vesti, lavoro, assistenza sanitaria, situazioni legali, ecc. Anche le comunità meno abbienti devono trovare il modo di collaborare.
* Si deve trattare questo tema nei capitoli locali delle comunità religiose e nei consigli parrocchiali.
* Per rendere più efficiente il coordinare, si cercherà di collaborare con le strutture diocesane e intercongregazionali.
* Per quanto riguarda alle circoscrizioni fuori dal continente europeo: sono ben note situazioni simili che ci sono in molte parti del mondo. In esse le diverse realtà dei rifugiati e sfollati, che sono ugualmente allarmanti, rendono necessario trovare il miglior modo di aiutate e collaborare.
* Riguardo alle circoscrizioni o comunità che desiderano collaborare con un aiuto economico si crei un fondo speciale nella Curia Generale. Questo per distribuire meglio questi proventi secondo i bisogni dei rifugiati.
* Chiedo ancora ai Superiori Maggiori di tutto l’Ordine che mi facciano conoscere ciò che si decide nella propria circoscrizione riguardo al tema e assistenza ai rifugiati. Si prega di inviare attraverso la Segreteria Generale dell’Ordine.
* Convoco una giornata di preghiera in tutto l’Ordine: per gli immigrati, rifugiati, cristiani perseguitati e per le vittime di tutte le guerre. Sarà il prossimo 16 novembre, Giornata Internazionale della Tolleranza. Secondo le possibilità la partecipazione sarà aperta ai laici. Il nostro Istituto di Spiritualità invierà al più presto indicazioni e sussidi.
Desidero esprimere il mio profondo grazie per quanto si può e potrà fare per sollecitare una concreta risposta in favore di chi ci chiede aiuto in maniera così urgente, coscienti che aprirci al coraggio del Vangelo si ripercuoterà in maniera benefica dentro noi stessi; aiutando gli altri, aiutiamo ciascun religioso e tutto l’Ordine. Infatti con le parole di San Giovanni Paolo II, “L’uomo giunge all’amore misericordioso di Dio, alla sua misericordia, in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di tale amore verso il prossimo” Es decir: procurarles alojamiento y ocuparse de sus necesidades materiales y espirituales: vivienda, comida, educación, vestido, trabajo, asistencia sanitaria, situación legal, etc.(Dives in misericordia, 14).
Che Maria, Madre di Consolazione ci protegga e ci accompagni.
Da Roma, 16 settembre 2015
P. Alejandro Moral Antón
Priore Generale OSA
Lettera del Priore Provinciale ai Priori locali e comunità
Roma, 8 settembre 2015
Preparandoci all’Anno della Misericordia
Cari Fratelli
tutti noi abbiamo davanti agli occhi le immagini che di continuo trasmettono i notiziari riguardo alla richiesta dei rifugiati ed al movimento migratorio che sta interessando in questi ultimi anni un numero sempre crescente di persone.
Le parole pronunciate all’angelus da Papa Francesco domenica scorsa sono una proposta che coinvolge anche tutte le nostre comunità e che vi invito a prendere in seria considerazione secondo le vostre possibilità e capacità di dedicare tempo ad una famiglia da accogliere.
Il Papa così si è espresso: “Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma”. “Misericordia è il secondo nome dell’Amore” ha ricordato il Papa a tutti i fratelli vescovi d’Europa, perché sostengano il suo appello, cosi come farà la città leonina. Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi. (cito dal sito di Avvenire)
Nei mesi scorsi alcuni confratelli avevano proposto di mettere a disposizione alcune nostre strutture non utilizzate. (forse si pensava a S.Pio, ma non è abitabile; Valmanente, per lo più però senza arredo, e l’ex. Convento di Andria, ora usato in minima parte per la catechesi). Di fatto il consiglio, quando ha affrontato l’affidamento in gestione della casa di Riano, aveva considerato anche l’utilizzo per queste finalità, e l’attuale gestore aveva lui stesso avanzato questa proposta. Non l’abbiamo accettata perché ci siamo detti che, se ci fosse stata ancora una comunità presente, quella comunità avrebbe potuto dedicarsi a questa accoglienza, ma subaffittare la povertà non ci sembrava dignitoso. Mi spiego. L’invito che ci è fatto è di accogliere, non di dare case vuote, o peggio di specularci sopra. (Lo stesso gestore ci ha detto che in effetti per lui era remunerativa questa via perché senza sforzo avrebbe avuto la casa sempre piena con 35 euro a testa al giorno dati dallo Stato, mentre ora deve cercarsi i clienti e sicuramente la casa non sarà sempre piena). A ciò si aggiunga che l’impatto con il territorio, la gestione della qualità di vita di queste persone in luoghi isolati, ecc…, vanno gestiti con persone che ci mettano la faccia e siano presenti con la popolazione locale e con le persone accolte. Tutto ciò del resto era stato chiaramente indicato nell’ultima Assemblea Nazionale CISM (cioè dei Superiori Maggiori delle realtà di vita consacrata presenti in Italia) nella quale erano state portate diverse testimonianze che spiegavano che l’accoglienza ai rifugiati era riuscita solo quando si era dedicato parte di un convento nel quale risiedeva però stabilmente una comunità religiosa. La collaborazione e il controllo avevano avuto buoni frutti.
Tutte le esperienze nelle quali si era messo a disposizione uno stabile vuoto, senza la presenza costante e concreta di una comunità, erano state fallimentari per motivi di ordine pubblico, di igiene, di responsabilità civili di cura degli ambienti che spesso venivano distrutti e poi abbandonati, di proteste dei vicini, ecc… Si sconsigliavano perciò le varie realtà religiose ad impegnarsi in esperienze che non fossero di una accoglienza condivisa.
Su questa linea mi sembra sia l’ultimo intervento del Papa che invita anche le comunità religiose a farsi carico di una “famiglia di profughi”.
Ciò che ci può aiutare è proprio il coinvolgimento da persona a persona, il mettere a disposizione parte dei nostri ambienti in via temporanea per aiutare chi è nel bisogno. Quasi ogni comunità conosce e aiuta quotidianamente dei poveri, ma altra cosa sarebbe condividere quotidianamente spazi e tempo.
Questo ci potrebbe senza dubbio far crescere, mettere da parte qualche comodità, e sperimentare la bellezza ma anche la responsabilità che un tale aiuto comporta.
Ogni nostra comunità è perciò chiamata in prima persona a fare un discernimento e a fare qualche passo concreto che non sia dare soldi o muri, ma soprattutto tempo e attenzione. Mi auguro che qualcuno di noi ci riesca o almeno ci provi per i bene non solo di chi si aiuta, ma anche di tutti noi.
Un abbraccio fraterno
P. Luciano De Michieli
Priore Provinciale