Tra settembre e ottobre la Famiglia Agostiniana, ha avuto la gioia di celebrare due convegni: uno con i laici che sono vicini alle nostre comunità agostiniane (tenutosi a Sacrofano nei giorni 27-29 settembre), sul tema della santità quotidiana, prendendo spunto sul capitolo IV dell’Esortazione Apostolica di Papa Francesco Gaudete et exultate, e l’altro ha visto come partecipanti frati, suore e monache con la Regola di S. Agostino e che aveva come tematica quella delle relazioni.
Il Convegno con i laici ha avuto la partecipazione di circa 100 partecipanti e di grande interesse è stato l’ascoltare le esperienze di alcuni gruppi di laici che, legati ad alcune comunità agostiniane (sia femminili che maschili), vivono alcuni aspetti della nostra spiritualità: condivisione della preghiera, inserimento nei diversi apostolati… e non ultimo l’intuizione di nuovi cammini per appoggiare e condividere la vita delle comunità. C’è stata l’opportunità di poter ascoltare esperienze anche di comunità che non fanno parte tutte della nostra famiglia agostiniana: l’esperienza di Romena, la comunità della Visitazione e Il mandorlo (questa sì è legata ad una comunità di Roma delle Suore Agostiniane Figlie del Crocifisso). Tutte queste esperienze hanno fatto evidenziare alcuni elementi ricorrenti: l’importanza dell’ascolto, dell’accoglienza, l’apertura verso chi è nel bisogno, il desiderio di una intensa vita spirituale, la necessità di trovare nuovi cammini per evangelizzare.
La preghiera delle lodi, dei vespri e la celebrazione eucaristica, hanno accompagnato il desiderio di vivere dei momenti di preghiera.
Il convegno con i laici ha previsto un’unica conferenza dettata da Rosanna Virgili che ci ha dedicato del tempo prezioso e che ha allargato gli orizzonti presentandoci l’impegno del laicato alla luce del quarto capitolo dell’Evangelii gaudium. La comunanza del numero del capitolo (IV dell’Evangelii gaudium e IV della Gaudete et exultate), hanno accompagnato intensamente le giornate vissute insieme.
Il desiderio di continuare questo cammino di confronto, di amicizia e di conoscenza reciproca, è rimasto nel cuore e ci ha lasciato dentro l’impegno comune di non lasciar cadere tutte le sollecitazioni emerse.
Una settimana dopo, un altro convegno di grande intensità: suore, frati e monache insieme per riflettere sul tema delle relazioni. Le relatrici Paola Bignardi e Suor Elisabetta Tarchi, ci hanno fatto volare molto in alto. Paola Bignardi ci ha parlato della importanza delle relazioni con i giovani, presentandoci delle importanti statistiche sul mondo giovanile e poi una bellissima presentazione di Madre Alessandra come donna di relazione e promotrice della vocazione monastica oggi. Suor Elisabetta in modo molto brillante e simpatico ci ha offerto l’esperienza di amicizia di S. Agostino.
I lavori di gruppo hanno permesso ai partecipanti di poter approfondire maggiormente i temi e conoscersi.
Ci è stato offerto un materiale prezioso per poter continuare la nostra riflessione e darci speranza perché possiamo partire da ciò che di bello e di bene c’è nelle nostre persone e realtà.
M. Alessandra Macajone, donna di relazioni
- Ho avuto la gioia di conoscere M. Alessandra Macajone e di godere della sua amicizia, per pochi ma intensi anni di vita personale ed ecclesiale.
- Ho avuto il privilegio di leggere i suoi Diari, che ho ricevuto dalla fiducia di M. Rita Mancini e che mi sono serviti per approfondire aspetti della personalità della Madre, quelli che avevo conosciuto più superficialmente nei dialoghi con lei o che avevo avuto modo di intuire parlando con lei.
- Ritengo che M. Alessandra sia una di quelle figure che riescono a costituire un punto di orientamento, in questo tempo appassionante e difficile. Pertanto deve poter continuare a parlare alle persone, credenti e non, alle comunità cristiane e non solo a quelle monastiche… Madre Alessandra è tra coloro che davanti ai cambiamenti del tempo non si fanno sgomentare ma li affrontano con quell’intelligenza, quella curiosità e quel coraggio che le situazioni complesse suscitano in quelli che ne sono capaci e sono disponibili all’azione dello Spirito che opera nel tempo.
Relazione è legarsi
Se vivesse ancora oggi Madre Alessandra sarebbe molto amata dai giovani, che cercano figure di riferimento calde, solide, capaci di ascolto. Si tratta di tre caratteristiche che basterebbero da sole a tratteggiare il profilo umano, spirituale ed educativo di Madre Macajone. Con quel suo sorriso quasi ingenuo, in cui si leggevano curiosità, bontà e intelligenza, saprebbe mettersi in sintonia con i giovani di oggi, con la loro domanda di autenticità, di riferimenti, di relazioni.
Ci sono molte ragioni che spiegano perché’ lo saprebbe fare.
- La prima: la sua quasi naturale simpatia per gli altri, la sua umanità intensa, matura, ricca per le doti che la natura e la famiglia le avevano dato, e coltivata con un lavoro su di sé che aveva avuto inizio fin dagli anni della prima giovinezza;
- Lo saprebbe fare perché’ la sua visione della vita cristiana e del cammino spirituale era aperta agli altri, al mondo, alla storia. Caratteristiche che sembrano non avere grande considerazione in molte esperienze spirituali, soprattutto monastiche, che sembrano vivere chiuse su sé stesse, quasi che un rapporto totalizzante con Dio dovesse escludere dal mondo, anziché far incontrare il mondo e gli altri in Dio, in un’esperienza dagli orizzonti universali.
M. Alessandra aveva costruito la sua personalità sull’apertura all’altro, come forma di una vita cristiana fondata su un Dio che si è mescolato con l’umanità, e non appartato da essa.
- E poi lo saprebbe fare perché la sua libertà di spirito le permetteva di stare davanti ai cambiamenti e alle novità anche più improbabili con interesse e con quella attenzione spirituale che intuisce nei movimenti della storia la presenza e l’azione dello Spirito.
Dire che Madre Alessandra fu donna di relazioni potrebbe costituire una semplificazione della sua personalità ricca e complessa, per la quale l’essere in relazione era il frutto di un’impostazione, una visione della vita e della fede, di un’ascesi che la coinvolgeva tutta.
Semplificazione sarebbe pensare che il suo essere così capace di relazione fosse frutto della superficialità emotiva di chi è facile a diventare amico o amicone delle persone che incontra. La sua disponibilità all’altro nasceva dalla originaria disponibilità all’Altro, da una fede che giorno dopo giorno si strutturava in una relazione appassionata, calda e al tempo stesso severa con il Signore. Era questo amore appassionato che la rendeva disponibile, quella relazione primigenia che l’aveva portata poco più che ventenne a vivere intensi momenti di comunione con il Signore, a fare della preghiera la fonte cui alimentare la disponibilità a donarsi, ad ascoltare, a stare dentro un legame fino a consumarsi; che la portava ad assumere nella sua esistenza i tratti della vita del suo Signore, anche nei suoi aspetti più duri e più amari, che le hanno fatto desiderare di fare voto di immolazione, cioè di diventare una cosa sola con il suo Signore al punto da assumere in sé gli aspetti dolorosi della vita di Lui quasi che questo potesse alleggerire il dolore della passione o amplificare e potenziare l’azione redentrice di essa.
È una donna di relazione che ha fatto sua l’icona del Getsemani, della solitudine più amara, del tradimento degli amici e del silenzio del Padre. Se la solitudine del Signore può essere la situazione che più di altre la coinvolgono e danno un’impronta alla sua vita spirituale, ciò significa che non la facile propensione per gli altri sta all’origine della sua socialità; la fonte è primigenia, è Dio e il mistero della comunione trinitaria: è quella la relazione che dà forma, struttura e modella tutte le altre.
Relazione, se non è emotività superficiale, è un’esperienza complessa. In M. Alessandra mi pare che avesse almeno queste caratteristiche: era ascolto, anche profondo delle persone e dell’azione dello Spirito nella loro coscienza e nella storia umana, era vicinanza, era fiducia e anche compromissione nella storia.
Vorrei almeno sfiorare qualcuno di questi aspetti.
Ascolto. Madre Alessandra aveva una grande capacità di ascolto: passava ore ed ore, ad ascoltare le persone più diverse. Le storie che passavano da Lecceto e dagli altri monasteri dove M. Alessandra si è trovata a vivere, raramente erano storie “regolari”, cioè storie che avrebbero potuto trovare ascolto e accoglienza nei luoghi ecclesiali tradizionali. Madre Alessandra del resto sapeva che l’educazione vera, quella che lascia il segno nella vita delle persone e fa di qualche adulto un punto di riferimento per i giovani, è quella che è disposta a prendere per mano le persone una ad una: solo così è possibile capire ragioni, intessere dialoghi, aprire percorsi. Certo i giovani amano stare tra loro, apprezzano le iniziative di gruppo, ma quando devono “tirare le somme”, affrontare problemi personali coinvolgenti, fare sintesi della propria vita, si fanno aiutare da chi ha la capacità di stare con loro, dedicare loro tempo, considerare la loro situazione personale come unica.
Di questa sua attitudine personale così rara, in parte forse spontanea ma certo scelta, coltivata, collocata dentro un cammino ascetico che l’aveva affinata, M. Alessandra aveva fatto uno stile di vita e un elemento qualificante della sua visione della vita cristiana e monastica.
Aveva posto l’ascolto alla base del suo impegno di rinnovamento della vita monastica agostiniana.
Da donna colta e sensibile, abituata ad ascoltare e a farsi così un’idea di ciò che accadeva al di là delle mura del Monastero, era ben consapevole che i cambiamenti in atto nella società non potevano non avere un riflesso sul modo di interpretare la vita monastica.
In uno scritto su P. Trapé, grande studioso di Agostino e superiore generale dell’Ordine agostiniano, M. Alessandra esprime la consapevolezza di stare vivendo un momento di svolta nella storia del monachesimo. Con lei nasce – come lei stessa ebbe a definirlo – “il monachesimo agostiniano del 2000, certo gradatamente, sempre più chiaro di anno in anno”.
Qual è il profilo di questo monachesimo nuovo che Madre Alessandra sembra intravedere?
L’impressione più chiara che si ricava dal Diario è che Madre Alessandra non avesse in mente, ben definito, un progetto, ma piuttosto che fosse in ricerca, in ascolto. Scrive: “In questo tempo mi sento tutta ascolto per leggere l’esperienza che facciamo a Lecceto e come vita claustrale – contemplativa. Ascolto me, ascolto le figlie, soprattutto le giovani, ascolto la Chiesa, ascolto il carisma di Agostino. Ascolto le esperienze che facciamo qui a Lecceto, relativamente alla vita comunitaria e al rapporto con la Chiesa e con i fratelli e le sorelle che vengono. Ascolto le loro risonanze. L’ispirazione monastica di Agostino mi si va rivelando sempre più attuale, in piena consonanza con le esigenze dei tempi: – Chiesa – uomo – di oggi. Agostino è la risposta precisa, e attesa, dovrei dire” (Diario, 6 – IX – 1998).
Dunque l’ascolto come metodo, come stile di Chiesa, come strada per interpretare il proprio tempo e le persone che in esso vivono, attraverso un contatto, un legame, che significa anche mettersi in gioco.
E l’ascolto e l’ospitalità come espressione di quel “ministero dell’amicizia” che “fluisce quasi naturalmente nella relazione con quanti giungono a noi e diviene ministero di accoglienza e di amicizia. Il tratto umano, il rapporto amicale è un ponte con gli uomini, con la Chiesa, con i fratelli e sorelle che attendono uno scambio di vita e di cuore. Una luce che si irradi da un amore espresso con umana semplicità” (Ratio F., 142).
Le persone che passavano dal parlatorio dove avevano incontrato la Madre sapevano che non avevano semplicemente confidato i loro problemi, le loro inquietudini, i loro drammi e le loro speranze ad una persona che li aveva ascoltati, capiti, indirizzati con i suoi consigli… ma avevano affidato le loro storie e se stessi ad una persona che avrebbe continuato a portarli nel cuore, nel pensiero, nella preghiera. Il suo ascolto delle persone non era solo l’attenzione cordiale e calda di un momento, ma una vera relazione, cioè un legame, una solidarietà tra vite, una responsabilità verso la vita dell’altro. Questo la rendeva un punto di riferimento: si sentiva che ciò che si era deposto in lei faceva sì che ciascuno continuasse a vivere dentro di lei, nel suo cuore: erano i piccoli segni di attenzione che nel tempo facevano capire quanto si era ricordati, quanto si fosse diventati per lei importanti. Questo a lungo l’ha consumata, quasi non avesse più spazio per contenere altro e altri, se non Dio.
Nel tempo, questo ha trasformato anche il monastero: da luogo chiuso e separato dal mondo a luogo accogliente, che pur avendo radici solide nel qui e ora, aveva spazi dilatati al mondo e all’umanità tutta. La fedeltà a Dio esigeva che si fosse attenti al mondo, alla vita, alla storia, alle persone: questo stava insegnando la Chiesa attraverso il Concilio. Il monastero allora non era una fortezza per proteggere dal mondo e magari conservare “puro” il proprio rapporto con Dio, ma luogo per custodire la relazione con il Signore e con il mondo, e per conservare a queste relazioni il loro carattere di provocazione, di pellegrinaggio lungo la storia umana, nuovo esodo in un deserto che aveva i connotati di un tempo faticoso e complesso.
Il mondo non era chiuso fuori dal monastero, quasi luogo corrotto dal quale stare lontano per non esserne contaminati, ma entrava nel monastero per essere interpretato e servito secondo il cuore di Dio. Il mondo entrava nel monastero attraverso la cultura e attraverso gli ospiti. Capire il mondo attraverso lo studio era per M. Alessandra un modo per capire anche Dio. Sperimentare il mondo attraverso l’ospitalità significava accogliere le persone una ad una, nella loro umanità spesso ferita, nelle loro confusioni, nelle loro sofferenze… e costruire in monastero una comunità fraterna perché’ questa accoglienza fosse possibile.
In questa prospettiva, l’ospitalità del Monastero non è semplicemente una delle attività monastiche, esprime un modo di essere monache oggi, incarnate nel proprio tempo. Al centro vi è la persona che viene accolta: “L’interesse, l’attenzione, l’amore in una parola sarà stato tutto per lei. Comprenderla, ascoltarla, farla aprire, abbandonare a te. Sono per te, le avrai detto in tutti i modi. È casa tua. Eri attesa. Sei benvenuta. Sei un dono! Al centro non c’è dunque la casa ospitante, la ‘categoria ospitante’: i monaci, ad esempio, … Prima di tutto e ancora una volta; il tuo verbo si è fatto carne; la tua persona si è fatta fratello” (Diario, 20 – I – 1997). A questo stile di apertura e di attenzione all’altro dovevano essere educate le giovani monache, secondo M. Alessandra, come si legge in un passaggio della Ratio F.: “La nostra società ha bisogno di chi faccia incontrare questi valori; ma essi suppongono tutta la fatica di imparare a sparire nell’altro e per l’altro: si impone il superamento di ogni egoismo, perché si esige benevolenza, serenità obiettiva, grande amore, lieta capacità di perdono. Dobbiamo educarci a questo per essere piccola Chiesa che accoglie, ama, abbraccia, che si fa carico di ogni angoscia. Punto di riferimento che promuove la verità della carità e la carità della verità: “L’anima tua” – insegna S. Agostino – “non è più tua, ma di tutti i fratelli e anche le loro anime sono tue, o meglio, le loro anime insieme alla tua non formano più se non un’anima sola, l’anima unica di Cristo”. (Ratio F., 145-46).
Stare in relazione per educare
Penso che questi rapidi cenni possano essere sufficienti per capire perché’ la figura di M. Alessandra sia preziosa per chi oggi vive con responsabilità il difficile compito di educare; ogni educatore o educatrice, disposto a giocarsi con convinzione nella missione educativa può trovare in M. Alessandra un punto di riferimento esemplare. Mi piace sottolineare questo parlando di una monaca che aveva fatto della vita contemplativa la scelta della sua esistenza.
La sua è la testimonianza di una vita monastica che è capace di influire sul mondo perché’ nel rapporto totalizzante con Dio non ha escluso il mondo, ma lo ha assunto e servito in modo singolare che tutto fa passare attraverso Dio, quasi in una triangolazione che in Dio ha il suo vertice.
Penso che faccia bene alla Chiesa di oggi, che vede la crisi delle sue strutture pastorali tradizionali, riconoscere la fecondità educativa di una vita contemplativa capace di essere presente al mondo attraverso forme diverse da quelle classiche e da quelle di moda, ma riscoprendo quello che in qualche modo appartiene ad un’antica tradizione: esercitare una maternità/paternità spirituale che genera gli altri all’autenticità di se stessi e ad una vitale relazione con Dio.
E questo non come frutto di chissà quali nuove metodologie, ma della scoperta dell’essenziale di una vita cristiana che nella testimonianza di chi consacra totalmente sé stesso al Signore riconosce il segno evidente di ciò che appartiene a tutti e ve ne scorge quasi un segnavia.
La testimonianza di M. Alessandra ci ricorda che
- L’educazione delle nuove generazioni passa attraverso la capacità di relazione di donne e uomini maturi nella loro umanità, disposti a stare in relazione, che significa legarsi, mettersi in gioco, lasciarsi contestare, continuare a crescere;
- L’educazione delle nuove generazioni si fa uno a uno, perché’ i percorsi verso l’autenticità di se stessi passa attraverso il riconoscimento dei doni originali che lo Spirito fa a ciascuno; la capacità di guardare nelle proprie zone d’ombra superando ogni paura; la disponibilità ad accogliere le chiamate dello Spirito che si manifestano in modi quasi sempre misteriosi, difficili da decifrare. Per questo solo il dialogo a tu per tu può dare ai più giovani il gusto di scoprire “le profondità nascoste della fede e del mistero di Dio, che vengono da una sapienza contemplativa lungamente assimilata nella discrezione di cammini lunghi e impegnativi della sequela, fatti apposta per durare una vita”.
- L’educazione delle nuove generazioni si fa attraverso relazioni ricche di fiducia: fiducia nell’altro, nelle sue risorse e nelle sue capacità di bene. M. Alessandra aveva quello sguardo che genera fiducia in sé e accende il desiderio di bene, perché’ sapeva scommettere sul bene presente nel cuore delle persone. Sappiamo che il nostro atteggiamento portato istintivamente a giudicare ci porta a vedere i limiti, i problemi, le criticità che sono presenti in tutti e dunque anche nei giovani. M. Alessandra che asceticamente aveva acquisito la capacità di scrutare il bene potenziale della coscienza di ciascuno. Per questo le persone si sentivano capite nel dialogo con lei, sostenute nei loro sforzi cui M. Alessandra dava sempre il credito della sincerità; e sentivano che valeva la pena spingere la propria vita anche su territori difficili perché’ qualcuno li aveva ritenuti capaci di farlo.
- Nella sua saggezza educativa M. Alessandra alimentava le sue relazioni anche con la sua sensibilità culturale. Sapeva che vi sono atteggiamenti difformi da quelli degli adulti e da quelli della tradizione perché’ in essi si annuncia un tempo nuovo, che non si ripete, ma si annuncia nella novità di germogli fragili che l’educatore incauto potrebbe strappare o mortificare, perché’ li confronta con il passato. M. Alessandra sapeva confrontarli con il futuro, di cui, in essi, scorgeva gli indizi.
Per questo Madre Alessandra capiva i giovani, capiva le giovani monache, capiva la loro aspirazione a un futuro diverso, anche ad un futuro diverso della vita monastica, lei che aveva sperimentato al suo ingresso in monastero chiusura e incomprensione. Aveva vissuto sulla sua pelle di giovane monaca la sofferenza e il disorientamento generati da un’impostazione non più in sintonia con la sensibilità dei tempi. Dunque era consapevole della necessità di un aggiornamento della vita monastica così come la Chiesa stava cercando di aggiornare tutta se stessa attraverso il Concilio. Si tratta di un’attenzione che si rifletteva ad esempio sul modo di pensare la formazione delle giovani monache; Madre Alessandra desiderava che restassero donne del loro tempo, che la loro esperienza monastica non facesse di loro donne rigide e ingessate, con caratteri atemporali, come se fosse possibile vivere in questo modo, pur nella singolare esperienza della vita monastica. In una relazione proposta all’Assemblea Federale Intermedia del 1986 ebbe a dire che non avrebbe mai voluto che la formazione data in monastero trasformasse le giovani che vi entravano come donne di oggi in donne di ieri. Immagine di straordinaria efficacia, per dipingere gli effetti devastanti di certa formazione che non sa ascoltare, non sa muoversi in sintonia con il tempo, e finisce con il formare delle immagini caricaturali di donne chiamate invece a far vedere la forza trasformante –trasfigurante? – del Vangelo e di un’esperienza di Dio vissuta dentro una relazione esclusiva e totalizzante.
Nella Ratio Formationis che è un condensato della sua visione formativa si leggono espressioni di straordinaria intensità, da questo punto di vista. Vi si parla di ministero dell’amicizia: “Nella nostra spiritualità agostiniana la relazione d’amicizia è componente carismatica e la vita comunitaria si caratterizza come vita di relazione, profonda e costruttiva, schietta e umile. Per la via dell’amicizia si giunge naturalmente alla condivisione della fede e della vita alla quale la stessa disciplina comunitaria allena e predispone”. (Ratio F. n. 141).
Conclusione
Mi pare che se la vita monastica è un carisma della Chiesa e per la Chiesa, questa visione di M. Alessandra sia di straordinaria attualità; anzi configura una delle esperienze ecclesiali del futuro, quando la crisi del cattolicesimo popolare sarà arrivato ai suoi esiti più radicali e non imprevedibili.
Per questo la sua memoria va tenuta viva e coltivata come un dono dello Spirito per l’oggi.
Per concludere..
I lavori dei gruppi hanno prodotto interessanti criteri per un lavoro educativo tra i giovani che assuma le condizioni in cui i si trovano attualmente le nuove generazioni e per avviare una reinterpretazione del compito educativo.
Tra i criteri più citati vi è quello dell’ASCOLTO, di cui si percepisce l’importanza e la necessità.
L’ascolto è un’esperienza complessa. Ascolto non è semplicemente fermarsi a sentire quello che l’altro ha da dirci, ma è accoglierlo dentro di sé, capire le sue ragioni, lasciarsi provocare dalle sue posizioni. È utile meditare su questo passaggio dell’Evangelii Gaudium: “Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita.” (EG 171).
Tra le caratteristiche dei giovani di oggi si è visto che vi è una spiccata sensibilità per le relazioni, per tutti quegli aspetti che attengono alla sfera emotiva -affettiva; anche nel rapporto con Dio i giovani percepiscono la bellezza di non essere mai soli, cioè di poter incontrare un Dio che sta in una relazione personale con ciascuno, consentendogli di non sentirsi mai solo. Questa è la chiave di ingresso che i giovani offrono all’adulto perché’ possa avviare un percorso di formazione.
All’educatore oggi è chiesto di abbandonare un’idea di giovane o di educazione che appartiene ad un altro tempo e di cercare la strada della relazione con questo giovane, quello solitario, disorientato, individualista, disilluso del 2020. Solo accettando l’originale sensibilità dei giovani di oggi, senza giudicarli e senza pretenderli diversi, è possibile un’efficace azione educativa, quella che i giovani cercano e desiderano. Giudicarli con l’idea di giovane che abbiamo conservato in noi da un tempo diverso dall’attuale significa precludersi la possibilità di educare, oppure instaurare un processo che pretende di formare persone di un tempo che non c’è più.
L’ascolto dunque deve essere disposto all’ACCOGLIENZA, che non significa che l’adulto deve appiattirsi sul modo di essere dei giovani: non sarebbe più un educatore. Accogliere ciò che i giovani ritengono più consono alla loro sensibilità significa accogliere la chiave di lettura che essi ci danno della vita e della loro vita, per fare con loro un cammino. Non ci si ferma là dove i giovani sono, ma si entra insieme in un processo in cui tutti si è chiamati a cambiare. Cambia il giovane che si trova a confronto con una visione della vita matura, quella che corrisponde ad un ideale dell’umano e dell’esistenza quale la nostra tradizione viva ci consegna. Una visione che chiede di restare viva, e che dunque per questo ha bisogno di continuo di essere reinterpretata. L’azione educativa risulta dunque essere una reinterpretazione dell’umano fatta insieme, giovani e adulti, perché’ si resti contemporanei nella fedeltà a ciò che non cambia: che è l’essenziale!
La chiave di ingresso serve per mettersi in sintonia, per poter camminare. Non è un punto di arrivo; è il punto di una partenza che vede insieme giovani e adulti. Adulti capaci di quell’UMILTÀ di cui ha parlato qualche gruppo: l’umiltà che non presume di aver capito tutto; che non pensa che il proprio modo di vedere la vita sia adatto ad ogni tempo. L’umiltà che sa stare in ascolto non per strategia, ma per la convinzione di aver bisogno di capire di più, di conoscere meglio. L’umiltà di chi sa di appartenere ad un tempo, che riconosce che il tempo cammina verso un futuro che saranno i giovani ad interpretare e che l’adulto è chiamato ad accogliere, forse con stupore, forse con preoccupazione, forse con timore, ma sempre nella fiducia che lo Spirito assiste chi cerca il bene con cuore sincero.
I gruppi hanno anche messo in risalto che ha il valore della TESTIMONIANZA. Già nel 1975 Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi ci ricordava che il nostro tempo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri. I giovani particolarmente sono diffidenti nei confronti delle parole: se ne dicono troppe, e non sempre autentiche, e non sempre cariche di significato. I giovani credono a ciò che vedono. Hanno bisogno di imparare dalla credibilità di adulti che sono disposti a giocarsi la vita su valori grandi e che sanno far vedere che vi è un modo di vivere ispirato dal Vangelo e guidato dallo Spirito che dà gioia. Papa Francesco ci ha recentemente ricordato, con la sua enciclica sulla santità, che la vita cristiana è gioia. I giovani saranno disposti a credere a quegli adulti che nella fede e in un’umanità impegnata hanno trovato la strada della piena realizzazione di sé e dunque della gioia.
M. Alessandra è uno di questi testimoni; dobbiamo accostarci alla sua testimonianza con la gratitudine di chi sa che a quella esperienza potremo imparare cose di cui noi oggi abbiamo bisogno. Per questo è importante conoscere e far conoscere la sua vita, la sua storia, il suo mondo interiore, il suo modo di camminare verso Dio, intrecciato all’amore per ogni persona.