Cari Fratelli
tutti noi abbiamo davanti agli occhi le immagini che di continuo trasmettono i notiziari riguardo alla richiesta dei rifugiati ed al movimento migratorio che sta interessando in questi ultimi anni un numero sempre crescente di persone.
Le parole pronunciate all’angelus da Papa Francesco domenica scorsa sono una proposta che coinvolge anche tutte le nostre comunità e che vi invito a prendere in seria considerazione secondo le vostre possibilità e capacità di dedicare tempo ad una famiglia da accogliere.
Il Papa così si è espresso: “Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma”. “Misericordia è il secondo nome dell’Amore” ha ricordato il Papa a tutti i fratelli vescovi d’Europa, perché sostengano il suo appello, cosi come farà la città leonina. Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi. (cito dal sito di Avvenire)
Nei mesi scorsi alcuni confratelli avevano proposto di mettere a disposizione alcune nostre strutture non utilizzate. (forse si pensava a S.Pio, ma non è abitabile; Valmanente, per lo più però senza arredo, e l’ex. Convento di Andria, ora usato in minima parte per la catechesi). Di fatto il consiglio, quando ha affrontato l’affidamento in gestione della casa di Riano, aveva considerato anche l’utilizzo per queste finalità, e l’attuale gestore aveva lui stesso avanzato questa proposta. Non l’abbiamo accettata perché ci siamo detti che, se ci fosse stata ancora una comunità presente, quella comunità avrebbe potuto dedicarsi a questa accoglienza, ma subaffittare la povertà non ci sembrava dignitoso. Mi spiego. L’invito che ci è fatto è di accogliere, non di dare case vuote, o peggio di specularci sopra. (Lo stesso gestore ci ha detto che in effetti per lui era remunerativa questa via perché senza sforzo avrebbe avuto la casa sempre piena con 35 euro a testa al giorno dati dallo Stato, mentre ora deve cercarsi i clienti e sicuramente la casa non sarà sempre piena). A ciò si aggiunga che l’impatto con il territorio, la gestione della qualità di vita di queste persone in luoghi isolati, ecc…, vanno gestiti con persone che ci mettano la faccia e siano presenti con la popolazione locale e con le persone accolte. Tutto ciò del resto era stato chiaramente indicato nell’ultima Assemblea Nazionale CISM (cioè dei Superiori Maggiori delle realtà di vita consacrata presenti in Italia) nella quale erano state portate diverse testimonianze che spiegavano che l’accoglienza ai rifugiati era riuscita solo quando si era dedicato parte di un convento nel quale risiedeva però stabilmente una comunità religiosa. La collaborazione e il controllo avevano avuto buoni frutti. Tutte le esperienze nelle quali si era messo a disposizione uno stabile vuoto, senza la presenza costante e concreta di una comunità, erano state fallimentari per motivi di ordine pubblico, di igiene, di responsabilità civili di cura degli ambienti che spesso venivano distrutti e poi abbandonati, di proteste dei vicini, ecc… Si sconsigliavano perciò le varie realtà religiose ad impegnarsi in esperienze che non fossero di una accoglienza condivisa.
Su questa linea mi sembra sia l’ultimo intervento del Papa che invita anche le comunità religiose a farsi carico di una “famiglia di profughi”.
Ciò che ci può aiutare è proprio il coinvolgimento da persona a persona, il mettere a disposizione parte dei nostri ambienti in via temporanea per aiutare chi è nel bisogno. Quasi ogni comunità conosce e aiuta quotidianamente dei poveri, ma altra cosa sarebbe condividere quotidianamente spazi e tempo.
Questo ci potrebbe senza dubbio far crescere, mettere da parte qualche comodità, e sperimentare la bellezza ma anche la responsabilità che un tale aiuto comporta.
Ogni nostra comunità è perciò chiamata in prima persona a fare un discernimento e a fare qualche passo concreto che non sia dare soldi o muri, ma soprattutto tempo e attenzione. Mi auguro che qualcuno di noi ci riesca o almeno ci provi per i bene non solo di chi si aiuta, ma anche di tutti noi.
Un abbraccio fraterno
Luciano De Michieli
Priore Provinciale
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Criteri per l’accoglienza
Allego un articolo interessante che fa tesoro delle indicazioni date dal Cardinale alla diocesi di Bologna, ma valide per chiunque di noi voglia collaborare. È chiaro che ogni comunità dovrà collaborare a livello di Caritas diocesana, e semmai, là dove interviene la diocesi per le parrocchie a livello di aiuto, se necessario per il singolo convento non parrocchia, potrebbe intervenire la provincia con il fondo solidarietà.
Sei criteri-guida per l’ospitalità di famiglie di profughi nelle parrocchie, per dare una prima risposta all’appello lanciato dal Papa domenica 6 settembre.
Li presenta alla diocesi di Bologna il cardinale Carlo Caffarra, che in attesa delle «modalità e indicazioni» per le diocesi che la Cei stabilirà nel Consiglio permanente di Firenze (30 settembre-2 ottobre) offre alcune «considerazioni per l’accoglienza dei profughi».
È una riflessione operativa «per iniziare a dare corpo alla richiesta del Papa, sgomberare il campo da improvvisazioni, e cercare di muoverci in modo ordinato. Siamo solo all’inizio – spiega Caffarra – ma ci siamo messi subito in cammino e a Dio piacendo speriamo di fare molta strada». Si tratta dunque di «un processo che sarà inevitabilmente lento e ponderato» e che anzitutto non deve limitarsi a un approccio «emergenziale» verso «persone appena arrivate, per le quali sono attivi apposti centri», come «Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) e Cas (Centro accoglienza straordinaria)».
- L’arcivescovo sottolinea che «si tratterà invece di accoglienza di singoli o nuclei familiari già identificati e conosciuti per i quali si potrà predisporre un percorso specifico caso per caso».
- In secondo luogo Caffarra spiega che «l’Arcidiocesi agirà attraverso la Caritas diocesana che si interfaccerà da un lato con Prefettura e i Centri di cui sopra e dall’altro con le Caritas presenti sul territorio». È a queste che «faranno riferimento le singole parrocchie o comunità religiose o altre realtà che si rendono disponibili all’accoglienza».
- Puntando poi a «percorsi di vera accoglienza e integrazione» e per «garantire chi accoglie di non essere lasciato a se stesso» Caffarra ricorda come ogni realtà accolta «è necessario che sia quotidianamente visitata, monitorata e sostenuta dalla comunità tutta e da altre figure esterne competenti e autorevoli», con un coinvolgimento attivo di «associazioni, movimenti e altre aggregazioni ecclesiali».
- Per meglio comprendere lo spirito e la portata dell’operazione richiesta dal Papa sono importanti il quarto punto evidenziato da Caffarra («sarà gioia e onore per chi accoglie offrire amicizia, vicinanza fraterna, vitto e alloggio gratuitamente, escludendo quindi, nella generalità dei casi, ogni forma di rimborso economico per l’accoglienza prestata», con «tutto ciò che invece comporterà costi e impegni ulteriori» che «non sarà a carico della realtà ospitante ma impegno delle realtà caritative e istituzioni preposte che sovrintendono, gestiscono e tutelano questa accoglienza») come il successivo:
- «La parrocchia – si legge nella nota – non si identifica con il parroco o la canonica o le strutture parrocchiali. Proprio perché l’accoglienza sia espressione di tutta la comunità cristiana, si chiede che i sacerdoti responsabili di parrocchie e zone pastorali non si facciano carico da soli dell’accoglienza. Se non si riuscisse a garantire una effettiva corresponsabilità con almeno alcuni parrocchiani, neppure il parroco da solo potrebbe far fronte al bisogno; in tal caso si prenderà atto con dolore della impossibilità di accogliere».
- Infine l’arcivescovo di Bologna evidenzia come «il primo passo che ora concretamente possiamo compiere nelle nostre comunità è indirizzare alle Caritas» sul territorio le «disponibilità di accoglienza che vengono offerte (un appartamento abitabile ma ora non utilizzato, una famiglia disposta ad accogliere in casa propria qualcuno, altri spazi utilizzabili allo scopo)», mentre «la Caritas diocesana attiva i contatti con le istituzioni per capire di cosa c’è bisogno».